Interessante la recente sentenza del Tribunale di Reggio nell’Emilia pubblicata il 31.01.2023 in tema di recensioni negative su Tripadvisor, uno dei portali più noti per recensire alberghi, bed and breakfast e ristoranti.
Chiamato in giudizio da un ristorante per presunta diffamazione a causa di una recensione “negativa”, tripadvisor non solo non è stata tenuta a rimuovere la recensione negativa ma il ristorante è stato pure condannato al pagamento delle spese di lite.
Il caso ha riguardato un ristorante che aveva richiesto la condanna del famoso portale al pagamento di un risarcimento danni quantificato in euro 20.000,00 per presunta diffamazione avendo pubblicato la seguente recensione: “E’ IMBARAZZANTE, non fatevi imbrogliare. Premettendo che il servizio è ottimo, i camerieri sono cortesi e molto gentili questa recensione si basa sulla scarsa qualità del sushi. Non essendo un ristorante all you can eat, ci si aspetta che la qualità del pesce e del cibo in generale sia ottima…ma la realtà è assolutamente un’altra: i piatti sono del tutto MEDIOCRI. Ci sono una miriade ristorante giapponesi con menu infinity nei quali si mangia molto meglio, c’è più scelta e ovviamente si spende meno. Insomma riassumendo si mangia come negli all you can eat di fascia media e si spende come in un ristorante di fascia alta. Non ci andrò mai più !!”.
Tripadvisor ha sostenuto di essere un “hosting provider”, che si limita a fornire ai propri utenti lo spazio e gli strumenti per redigere e pubblicare in maniera autonoma le proprie inserzioni, recensioni e repliche, rimanendo quindi estranea al processo creativo di contenuti testuali. Ha altresì dedotto di non essere tenuto a rimuovere il contenuto delle pubblicazioni in assenza dell’intervenuto accertamento, da parte dell’autorità giudiziaria, della natura illecita delle stesse.
Come rilevato dal Tribunale, il servizio offerto consiste nella disponibilità di uno spazio dove gli utenti possono pubblicare recensioni in merito ai servizi di una determinata attività, limitandosi TripAdvisor a prestare un servizio di ospitalità in rete ad informazioni fornite dal pubblico, senza contribuire alla determinazione del contenuto delle inserzioni.
Il Tribunale, ritenendo applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. 70/2003, a sua volta attuativo della Direttiva 2000/31/CE, ha ricordato come la predetta normativa stabilisca l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza ex ante per i providers. In altri termini, fin quando il provider si limita a svolgere servizi di c.d. mere conduit (art. 12), caching (art. 13) e hosting (art. 14), rivestendo un ruolo c.d. “passivo” di mera trasmissione tecnica delle informazioni che transitano tramite il servizio offerto, senza influire sul contenuto, non può essere ritenuto responsabile del contenuto medesimo.
Peraltro, si osserva che l’arti. 16 del D.Lgs. 70/2003 citato regola il regime di responsabilità dell’hosting provider prevedendo che tale soggetto “non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”.
Pertanto, in capo al provider, non sussiste l’obbligo di rimuovere contenuti asseritamente diffamatori qualora non manifestamente illeciti, a meno che il provider non acquisisca consapevolezza dell’illiceità di tali contenuti “su comunicazione delle autorità giudiziarie o amministrative competenti”.
Del resto, come sostenuto dalla giurisprudenza di merito, “se così non fosse è evidente che il provider, eseguendo ogni ordine di cancellazione di un contenuto da internet su mera richiesta di parte, si renderebbe responsabile della compressione delle libertà fondamentali di espressione e di circolazione delle informazioni” (Trib. Bologna, ord. 28.01.2021).
Da ultimo, il Tribunale emiliano ha ritenuto che il contenuto della recensione non fosse affatto diffamatorio trattandosi di affermazioni che, pur estrinsecatesi in espressioni verbali critiche, non risultavano dotate di quella peculiare carica offensiva tali da apparire “manifestamente” lesive dell’onore o del prestigio del ristorante. Conseguentemente “il loro mancato apprezzamento in termini di offensività non integra un atteggiamento soggettivo idoneo a fondare la responsabilità in capo al prestatore, riscontrabile solo in presenza di colpa grave o di dolo” (Cass. Civ., n. 7708/2019; Corte App. Firenze, 26.03.2020, n. 698).
Il ristorante è stato infine condannato al pagamento delle spese di lite.