Diversi sono i CCNL che prevedono quale giusta causa del licenziamento il litigio o l’alterco seguito da “vie di fatto”.
Cosa accadde se il diverbio non è seguito da queste cc.dd. “vie di fatto”?
Ha recentemente risposto la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6398 del 10.03.2025.
La Corte d’Appello di Genova aveva accolto il ricorso del lavoratore licenziato per grave insubordinazione, plurime offese e minacce ai superiori, in virtù del fatto che il CCNL Servizi Ambientali prevedeva, all’art. 68, l’insubordinazione fra le cause del licenziamento solo se seguita da “vie di fatto”, che nel caso in esame non si erano verificate.
La decisione è stata cassata con rinvio dalla Corte di Cassazione che ha stabilito: 1. le previsioni disciplinari dei contratti collettivi, laddove indicano le condotte idonee a giustificare il licenziamento, non hanno carattere tassativo, ma solo esemplificativo, indicando la scala valoriale da tenere presente ai fini dell’accertamento della giusta causa; 2) è dunque astrattamente possibile individuare altre ipotesi di gravità dell’insubordinazione equivalenti o analoghe alle “vie di fatto” prese in considerazione dall’art. 68 cit.; 3) in particolare, non essendosi l’insubordinazione, nel caso in esame, concretizzata soltanto nella mancata attuazione di un ordine, essendosi manifestata anche con ingiurie e minacce, il giudice di merito è chiamato a valutare se questo quid pluris può far assurgere l’insubordinazione ad un grado di gravità tale da essere equiparabile a quello delle “vie di fatto” e quindi integrare la giusta causa, proprio alla luce di quel criterio di gravità esemplificato dalle parti collettive.